mercoledì 9 settembre 2009

Delle considerazioni

La prima legge del moto afferma che in assenza di forze agenti un corpo conserva il proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.

E dunque camminare, camminare migliaia di passi, talvolta contandoli, per respingere il fissarsi dei pensieri e lasciarli scorrere, insieme al respiro: quattro passi in inspirazione, due trattenendo, otto espirando, due di vuoto assoluto.

Poi ricominciare.

Poi smettere di contare e provare a dare un nome alle cose.

In alcuni giorni detesto la parola consapevolezza, dovrebbe essere proibito usarla. Comminare multe a chi ne abusa. Che non vuol dire niente, in certi giorni, se non riuscire a vedere solo poco, pochissimo oltre la punta del proprio naso e credere che sia tutto. E invece è così poco, appena poco più di niente. E’ come la preghiera, come la rivoluzione: compie solo ciò che è già possibile. Oltre non si va.

Pesano, le vite degli altri. Pesano, le loro storie.

Come fossero le mie, come se al sentirle raccontare alla fine mi riguardassero. Ed è così, c’è poco da fare, le linee di confine sfumano ed è del tutto inutile cercare di elevare barricate.

Pesano anche le assenze e le presenze labili. Le distanze. Pesa tutto.

La seconda legge del moto stabilisce che una forza applicata a un corpo indeformabile gli imprime una accelerazione a essa proporzionale.

E mi guardo i fianchi, le linee del corpo, le forme che piano piano m'hanno definito nel tempo e attraverso il tempo m'hanno deformato -ci sono giorni in cui non mi riconosco-. E già non sono (più) indeformabile, non più come una volta, nemmeno fluida, del resto, e la forza applicata non mi permette di scappare, ma mi schiaccia e mi inchioda. Una pressione intollerabile.

L'attrito è una forza dissipativa che tende a ostacolare il moto di scorrimento relativo tra superfici a contatto, quindi, a eccezione di casi particolari, si oppone al moto di un oggetto.

Chi era quel francese che diceva che siamo macchine? La mia memoria è difettosa, non lo sono abbastanza, vorrei avere azioni e reazioni semplici, immediate. Tasti di accensione e spegnimento, vie di fuga, momenti di annientamento senza rischio.

La terza legge del moto afferma che quando un corpo esercita una forza su un altro corpo, quest'ultimo reagisce esercitando sul primo una forza uguale e contraria.

L’etica del carrarmato, insomma. E invece sono così stanca che vorrei scavarmi un bunker e ritirarmi, uscire quando tutto possa ricominciare, in assoluta leggerezza. O non uscirne mai più.

Nel tempo non se ne accorgerebbe nessuno, io neppure.

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